Moda monastica, le collezioni del 1741

Le deviazioni sono tra le cose più belle che possono accadere durante la lettura.

Stavo dunque leggendo la presentazione di Gabriella Zarri al volume di Lettere familiari e di complimento di Arcangela Tarabotti, la monaca veneziana di inizio Seicento, in clausura a Sant’Anna in Castello, che con maggior forza denunciò il costume della monacazione forzata; presentazione che invita a precisare meglio i contorni del fenomeno e a ricordare che «vi era tuttavia da parte delle monache una propensione non minoritaria a fare del monastero un luogo di convivenza cordiale, un istituto in cui far convergere un insieme di attività culturali e devozionali che elevassero la fama del monastero e delle donne che lo abitavano». Tale cordialità si traduceva anche in una certa cura nella confezione dell’abito, tanto che «perfino il noto gesuita Filippo Bonanni, autore di un libro di incisioni sui costumi dei diversi ordini religiosi, stampato nel primo decennio del Settecento, non poté mancare di far notare che a Venezia le monache indossavano abiti assai diversi».

Monaca olivetana

Monaca Olivetana

Bene, andiamo a vedere. Il libro in questione è, per citare la terza edizione del 1741, stampata a Roma da Antonio de’ Rossi con testo a fronte, il Catalogo degli Ordini Religiosi della Chiesa Militante espressi con immagini, e spiegati con una breve narrazione… dal p. Filippo Bonanni della Compagnia di Giesù, e, grazie a GoogleBooks, si può agevolmente «sfogliare» e leggere. Il secondo volume è dedicato appunto alle monache e presenta, come il primo, a sinistra una bella incisione a pagina piena e a destra un breve testo latino-italiano. Cento e otto schede una più bella dell’altra che, sia detto senza scherno, sembrano quasi una sfilata delle collezioni primavera-estate e autunno-inverno 1741, grazie anche, bisogna dire, alla complicità di un gusto controllato ma non irrilevante per la posa delle «indossatrici».

Centootto schede che vanno dalle «Monache dette Acemete», di origine greca e dedite alla lode ininterrotta, alle «Gentildonne dette le Dimesse», che «sono in Venezia, Padova, Udine, e altri luoghi del Dominio Veneto» e si chiamano così «poiché abbandonate le pompe del Secolo, e le vanità comuni al sesso donnesco vestono abito nero molto modesto».

Agostiniana scalza portoghese

Agostiniana scalza portoghese

Centootto modelli che illustrano ogni tipo di tonaca, sopravveste, velo, collare, cintura, fibbia e calzatura; la «pazienza bianca di lana» (una tunica con cappuccio), lo «scapulare nero» e il «candido rocchetto» (sopravveste con le maniche chiuse); i «sandali di canape» e la «cintura nera congiunta con fibbia di ferro»; la «cocolla non tanto attillata, ma più ampia», le camicie di butello bianco (che vuol dire panno grosso, e rozzo)» e le «maniche strette con sopraveste a mezzagamba».

Io, poi, per gli elenchi ho un debole, e quindi, tra le altre, ricordo le Angeliche, le Beghine di Anversa, un esercito di Canonichesse, le Carmelitane (antiche, di Francia e scalze), le Domenicane (con e senza Cappa), le Filippine, le monache di Fonte Ebraldo e le monache di Fonte Ebraldo Riformate, le Minime, le Romite, le Teatine, le Turchine o Celesti, le Silvestrine, le Solitarie, le Zitelle e le Zitelle povere (cioè, dai…). Ho anche imparato che le Clarisse erano dette anche Urbaniste, da Urbano IV, che «compose per loro una regola più mite».

Gentildonna dimessa

Gentildonna Dimessa

Non posso trascrivere tutto il volume, quindi ancora due citazioni e un «ricordo». Anzitutto un classico, tratto dalla scheda delle Agostiniane portoghesi, che «se occorre il bisogno di essere visitate dal medico, o dal Confessore, in tal caso pongono in testa un denso velo, che pende per tutte le parti fino a terra, in modo, che non è mai possibile vederle in volto». Poi una menzione speciale per il velo delle Brigidine: «Gli ornamenti del capo saranno una fascia, che circonda la fronte, e le guancie in modo, che resti in parte coperta la faccia, e si unisca la di lei estremità con una spilla. A questa si sovraponga il velo di tela nera, quale si doverà fermare con tre spille, una sopra la fronte, le altre due sopra le orecchie. Di poi si aggiunga una corona di tela bianca, a cui si uniscano cinque particelle di panno rosso, come cinque goccie, la prima in fronte, l’altra dietro la testa, la terza, e la quarta sopra le orecchie, la quinta sopra il capo in modo di croce. Quella corona si fermi nella sommità con una spilla».

E infine un ricordo partecipato per le monache di San Gilberto, la cui «mortificazione della carne era singolare, la fatica continua, il sonno brevissimo, i digiuni continui, i cibi vili, e l’abito aspro»…

Insomma, «moda» monastica, ossessione per la catalogazione e gusto per la definizione fanno di questo Catalogo una piacevolissima (se si prescinde dalle vite che vi si assiepano dietro) e molto istruttiva deviazione, in cui ci si può perdere e – come si suol dire – dimenticare per un po’ gli affanni. E per non perpetuare lo stereotipo dell’esclusiva femminile in campo di moda, prossimamente sfoglieremo anche il volume dedicato agli Ordini maschili, che ha cento pagine di più, tanto per dire.

Arcangela Tarabotti, Lettere familiari e di complimento, presentazione di G. Zarri, a cura di M. Ray e L. Westwater, Rosenberg & Sellier 2005; il Catalogo del p. Bonanni si può vedere qui.

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