Dai, giochiamo un po’: con le storielle dei Padri del deserto è facile, sono sempre così vivide, ed è peccato veniale.
Allora, c’è questo giovanotto bello deciso: Basta, proclama, rinuncio al mondo, vado nel deserto. Vede una cella a forma di torre e si dice: Okay, chiunque vi abiti, voglio servirlo, punto. Va, bussa, esce un monaco anziano, «che gli disse: “Che vuoi?”»
Il giovane non si scompone: Ho fatto un voto, dice.
Vabbè, risponde l’anziano, mangia qualcosa e poi mi racconti.
No, niente, ribatte l’aspirante monaco, voglio restare qui.
Mi sa ch’è meglio di no, risponde il vecchio. Colpo di scena: «Se vuoi riceverne beneficio, vai in un monastero, perché io sto con una donna».
Il giovane non si sposta di un millimetro: Non m’interessa, moglie o sorella, io qui resto, come vostro servitore.
Passa un po’ di tempo, il giovane fa tutto quello che deve, senza fiatare, finché i due conviventi si confrontano: Oh, già viviamo nel peccato, ci tocca pure avere sulla coscienza questo qui. Raccattiamo qualcosa e teliamo.
Seeenti, esordisce l’anziano, «noi andiamo ad adempiere un voto, e tu custodiscici la cella». Ma dopo cinque minuti il giovane capisce l’inganno e li insegue. «Quelli, al vederlo, restarono sconvolti e dissero: “Fino a quando sarai per noi una condanna? Hai la cella, stai lì e bada a te stesso.» Quell’altro niente, di ferro: «Io non sono venuto per la cella, ma per servirvi». E te pareva.
Questo non ce lo leviamo più di torno, ma… «a queste parole, furono presi da compunzione e decisero di tornare a Dio con la penitenza. Allora, la donna se ne andò in un monastero, e l’anziano ritornò alla sua cella. Così, per la pazienza del fratello, si salvarono entrambi».
(Qualche corsivo impertinente aggiunto a Everghetinós, 27, 3, in: Paolo Everghetinós, Esempi e parole dei santi Padri teofori, volume I, a cura di M.B. Artioli, Edizioni Scritti Monastici, Abbazia di Praglia 2012, pp. 270-71.)