(la prima parte è qui)
Si diceva della beata Oda, nata intorno al 1120 da famiglia nobile, che sin da piccola aveva deciso di entrare nel monastero premostratense di Bonne-Espérance. Filippo di Harvengt ne racconta la vita, diffondendosi con ampiezza sui particolari del suo rifiuto del matrimonio. Venuto a sapere dell’intenzione della figlia di farsi monaca, il padre si affretta a cercarle un fidanzato, un tal Simone, e a fissare la data delle nozze. Oda ribadisce la sua volontà e il padre per un momento pare disposto al rinvio, ma poi la inganna e le fa trovare tutti i parenti schierati nel cortile del castello. La portano davanti al sacerdote, dove l’aspetta il promesso sposo. «Secondo l’uso, il prete domanda tre volte di seguito a Simone se consente liberamente a unirsi legalmente a Oda [utrum Odam virginem sibi legaliter copulari volontarie consentiret]». Il giovane risponde tre volte di sì. Il prete si volge alla ragazza e le pone la stessa domanda. Oda, arrossendo e chinando la fronte («vultu rubore perfuso et fronte tenera inclinata»), tace. Sconcerto generale. Tale che un’amica di famiglia interviene e cerca di convincere la giovane, pregandola di aprire la bocca e di pronunciare, con gratitudine, il suo assenso.
A questo punto, Oda sbotta: «Poiché volete che io dica che mi fa piacere sposare costui, sappiate con certezza che io non voglio né lui né altri. Dall’infanzia sono legata d’amore, e ripongo fiducia in colui al quale ho dato, vergine, la mia verginità. Né l’amore di un altro, né le ricchezze, né le minacce o le percosse dei miei genitori potranno mai separarmi dai suoi abbracci».
Scoppia un pandemonio. Simone dà fuori di matto, si sente offeso e ingannato e, «come se avesse il nemico alle spalle», monta a cavallo e torna a casa con i suoi. I parenti di Oda sono infuriati («adversum eam graviter stomachantur»), discutono delle conseguenze. Il padre urla: sua figlia, volente o nolente, si sposerà. Approfittando della confusione, Oda scappa a casa e si rifugia nella camera della madre. È disperata e invoca l’aiuto di Dio. Impugna allora una spada che… era appesa sopra il letto («arrepto gladio quem ad caput lectuli videt dependere») e cerca di tagliarsi il naso. Ma le trema la mano. Non è abituata a maneggiare le armi. Non ce la fa, e maledice la lama che si rifiuta di deturparla. Così, raccogliendo tutte le forze, si squarcia le narici («obliquo vulnere nares detruncavit»). Il sangue sgorga copioso, e distrugge lo splendore del suo viso («sicque vultus sui genuinum splendorem admodum deturpavit»).
Intanto arrivano i familiari, e poi il padre, e la madre, e la cercano, battono sulla porta chiusa, e la sfondano, e trovano la giovane sfigurata… Ci vorranno ancora molte lacrime e molto sangue prima che Oda possa vedere riconosciuta la sua scelta, ma un’ultima invocazione della ragazza al padre lo convincerà a lasciarla andare.
* * *
Tornando ai principi sui quali insiste la «teologia matrimoniale» del XII secolo, dopo il consenso, si passa all’unione carnale.
(2-continua)
Jean Leclercq, I monaci e il matrimonio. Un’indagine sul XII secolo, SEI 1984.
Nessuno commenta una storia cosí bella e avvincente? Altri tempi…
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