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In movimento (Schedine: Corlazzoli; Giorda)

DiarioDaUnMonastero Alex Corlazzoli, Diario da un monastero. Parole di un ateo in cammino, EDB 2024. Giornalista, scrittore, insegnante di classe 1975, Alex Corlazzoli ha trascorso qualche mese presso il monastero di Cellole, filiazione di Bose dalle parti di San Gimignano, e ne ha tratto un «diario» di osservazioni (del luogo, delle pratiche quotidiane, dei boschi circostanti), riflessioni (sulla vita dei monaci che l’hanno accolto, su di sé), incontri e conversazioni e ricordi (di letture, di altri luoghi e altri incontri), raccogliendoli sotto trenta parole-guida, da quelle più «canoniche» come Silenzio, Cella, Orto, a quelle meno prevedibili come Nocino, Bisaccia, Sesso. Come dice Enzo Bianchi nella Prefazione: «Grande è il tatto, la delicatezza, direi il pudore con il quale [Cortazzoli] racconta i momenti più importanti che scandiscono la vita monastica, ma anche quelli più intimi della vita personale e comune». Il testo, sia concesso dirlo, scorre sui binari ben lubrificati del genere, cioè della testimonianza di «quelli di fuori» che provano a vedere, con reale partecipazione e apertura, quello che c’è «dentro». Una nota per Sincletica, la gatta che vive con la comunità e che nei mesi più freddi puoi trovare «sulla poltrona di vimini della piccola sala nel refettorio o sul letto in una delle celle di qualche monaco. Non ha preferenze, ama “impadronirsi” delle coperte di chi vuole, quasi a dire loro che quel luogo le appartiene alla pari».

MonachesimoEIstituzioniEcclesiastiche Maria Chiara Giorda, Monachesimo e istituzioni ecclesiastiche in Egitto. Alcuni casi di interazione e integrazione, seconda edizione riveduta, Morcelliana 2023. Che le «cose» non si manifestino da un giorno all’altro è esperienza comune. Più si va indietro nel tempo, tuttavia, più facilmente si può cadere nella semplificazione e pensare, tanto per fare un esempio, uno a caso, che un giorno non esistessero i monaci e i monasteri, e il giorno (o al massimo l’anno) successivo, eccoli lì, perfettamente definiti, con tanto di abito, regole, chiostro e dormitorio dei novizi. Il periodo di emergenza, definizione e assestamento del fenomeno è proprio quello che cerca di esplorare, basandosi in larga misura sulle fonti scritte, il saggio di Maria Chiara Giorda, professoressa associata di Storia delle religioni all’Università di Roma Tre, con particolare riguardo alla realtà egiziana (sottolineo le «fonti scritte» perché esiste una notevole attività di ricerca in campo archeologico sulle origini degli «edifici monastici» cui l’autrice fa comunque riferimento). I cinque capitoli che seguono quello introduttivo indagano via via, da un punto di vista terminologico, lo sviluppo dei momenti liturgici (eucaristia, sinassi, prosfora, eulogia, agape) e degli edifici (aghios, ecclesia, monasterion, eukterion, kellion, laura); quindi le diverse forme diciamo così «istituzionali» dei primi monaci, sospesi per così dire tra laicato e chiericato, i loro rapporti con il clero secolare e gli scivolamenti da un gruppo all’altro (come nel caso dei vescovi-monaci o dei monaci-vescovi); e ancora la progressiva definizione delle «funzioni monastiche» (chi faceva cosa), ad esempio la direzione spirituale (che può comprendere l’accoglimento della confessione), l’applicazione della disciplina, la gestione della malattia e dell’ospitalità, l’economato. La lettura, non sempre agilissima, mi ha offerto l’accesso a una serie di fonti originali di grandissimo interesse e mi ha lasciato l’immagine di un momento di incredibile fermento e mobilità, concettuale ed esistenziale: «Le tracce che le fonti attestano, relative ad una confusione e sovrapposizione dei ruoli (si pensi alla gestione del sistema di perdono dei peccati/penitenza/pentimento, spartita tra chierici e monaci), ad un’identità plurale dei soggetti, che sono monaci ma anche chierici (diaconi, preti, financo vescovi), veicolano informazioni interessanti a riguardo del mondo religioso dell’Egitto tardo antico. La società egiziana pensava e tale pensiero, messo per iscritto nei testi letterari e documentari che abbiamo presentato in questo percorso, costruiva un ambiente religioso fatto di immagini, di una rete di relazioni, connessioni, interazioni appunto, e capace di modellare a sua volta gli individui e i gruppi».

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«Monaci, uomini senza Dio?», di Maria Chiara Giorda e Sara Hejazi

GiordaHejaziLa provocazione del breve studio di Giorda (studiosa di storia delle religioni) e Hejazi (antropologa e giornalista) è evidente sin dal titolo: provare a osservare il monachesimo contemporaneo come una delle diverse forme di «spiritualità senza Dio» che caratterizzerebbero la modernità. Sganciato da una dimensione esclusivamente trascendente e non ridotto alla sola variante cattolica, il monachesimo «diventa – assieme ad altre pratiche di spiritualità – una delle possibili scelte individuali di costruzione del mondo e della propria vita, di autorealizzazione, di perfezionamento del sé». Il «senza Dio» va preso appunto come provocazione, per spostare l’accento sul significato pratico della via monastica, «un’alternativa agli stili di vita contemporanei, e che quindi vuole farsi anche arte di vivere nel presente».

Secondo le due studiose proprio nel momento in cui i monasteri si consolidano come alternativa al mondo «di fuori», con quel mondo inevitabilmente dialogano, in maniera via via più stretta, ne hanno bisogno, da un punto di vista sia materiale sia simbolico. Lo scambio è intenso, tanto che «ci si deve domandare quanto i monaci e le monache che vivono nel mondo secolare del III millennio siano stati permeati dallo sguardo, a volte indiscreto, del mondo, da diventare ciò che quel mondo si aspetta che siano». Tale scambio avviene in numerosi «luoghi», inediti rispetto alla tradizione, ad esempio quello del «turismo religioso» e dell’ospitalità, che si declina moltissime forme: gite domenicali, visite più approfondite, ritiri veri e propri, e poi corsi, conferenze, concerti; oppure quello di Internet, che è un aspetto molto dibattuto dalle comunità monastiche stesse, anche qui con una varietà di forme che rispecchia il mondo «di fuori»: siti, pagine Facebook (di comunità o personali), canali Youtube, blog, shop online, ecc. Ogni comunità si viene a trovare al centro di una rete di relazioni, e ne è responsabile oltre che protagonista come gli altri partecipanti. Anzi, nel momento in cui il monastero diventa centro di attrazione e di diffusione – di parole, cose, stili, pratiche – viene quasi a configurarsi una specie di audience (spesso legata alla presenza di figure carismatiche), un «pubblico, un gruppo di persone che lo frequenta e che passa del tempo in quel luogo non solo perché è monastico tout court, ma perché è proprio quel luogo, ha proprio quel gruppo umano, vive quella spiritualità». Di quale separazione si può parlare di fronte a questi fenomeni?

Giorda e Hejazi si concentrano quindi su due esempi specifici (giustamente, poiché di un insieme di comunità individuali si parla e non di un movimento astratto): il monastero cistercense maschile «Dominus Tecum» di Pra ‘d Mill, presso Bagnolo Piemonte, e il monastero misto buddhista zen Shobozan Fudenji, presso Tabiano, in provincia di Parma. È un confronto interessante – di scelte architettoniche, di strutture degli spazi, di gestione del tempo, di rapporti con l’esterno –, al termine del quale le studiose chiudono il cerchio in un modo che sicuramente molti non condivideranno, ma che mi pare stimolante: per chi si avvicina a questi luoghi «si potrebbe dire che non importa nemmeno il tipo di religione, non vi è una profonda riflessione sulla teologia che sorregge la spiritualità, ma si condividono delle pratiche, degli esercizi, come la sveglia al mattino presto, i pasti, le liturgie; l’importante è esserci, starci, prendere parte, molto più che comprendere».

Anche i monaci e le monache di oggi, concludono le autrici, sono ovviamente nel pieno della trasformazione, la loro alternativa si incarna comunque dentro il mondo, e «al cambiare del mondo, cambia anche il monachesimo e cambiano anche i monaci. In questo senso, esistono delle pratiche, esiste un senso comune riferibile al monastero, ma non esiste un’essenza della vita monastica».

Maria Chiara Giorda, Sara Hejazi, Monaci, uomini senza Dio? Pratiche, senso essenza, Mimesis 2014.

 

 

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