Da qualche tempo la casa editrice Rubbettino ha avviato una pregevole «collanina» di pubblicazioni di argomento certosino; si chiama «Amore e silenzio» (dal titolo di un famoso scritto del certosino Jean-Baptiste Porion) ed è diretta da Antonio Cavallaro, Tonino Ceravolo e dom Ignazio Iannizzotto. Ultimamente ne ho letti due titoli. Il primo è una raccolta di saggi offerta dai monaci di Serra San Bruno al loro ex priore, e ora procuratore generale dell’Ordine, Jacques Dupont, in occasione del suo 75° compleanno1. I contributi riuniti nel volume sono suddivisi per grandi aree tematiche (san Bruno, le caratteristiche della vita e della spiritualità certosina, il carisma, le prospettive ecumeniche) e sono opera di studiosi laici ed ecclesiastici, a esclusione di due scritti firmati, come vuole una tradizione ormai quasi millenaria, da «un certosino». Un aspetto, questo, che, per quanto comporti la cancellazione del nome, paradossalmente non mi pare rientri nel concetto di anonimato, e che trovo perfettamente riassunto in una frase di Adelindo Giuliani, uno degli autori: «I protagonisti e i seguaci di questa ricerca [i certosini, nei secoli] non sembrano assillati dal bisogno identitario, dall’esigenza di definirsi di fronte agli altri e a se stessi». Caratteristica, questa, al cuore del fascino che promana, per me, dal monachesimo certosino.
Nonostante l’eterogeneità dei saggi presentati, il volume offre un quadro molto articolato della suo malgrado singolarissima realtà certosina, che ha la caratteristica altrettanto singolare di affaticare, per così dire, più chi la osserva dal di fuori, che chi la vive; come se il monachesimo certosino non smettesse di rappresentare un «problema» per chi cerchi di inserirlo in un panorama più ampio, mentre fosse la dimensione più semplice e meno bisognosa di spiegazioni per i suoi membri. Come dice uno di loro: «Il monaco non cerca qualcosa nel suo silenzio, cerca la presenza dell’amato. Non gli chiede nulla. Non chiede cose. Vuole lui. Stare accanto a lui. Vivere con lui».
Il secondo volume, firmato dal certosino Maurice Laporte, è in realtà il «frammento conclusivo della prima parte» di una monumentale opera in otto volumi che lo studioso ha dedicato al suo Ordine e che, pur essendo circolata praticamente soltanto all’interno dell’Ordine medesimo, «costituisce uno spartiacque negli studi del monachesimo certosino e sul suo iniziatore»2. Frutto di una lettura minuziosa, si direbbe parola per parola, delle poche opere di san Bruno (la Lettera a Rodolfo il Verde, la Lettera ai Fratelli di Certosa, un Commento alle Lettere di san Paolo e un Commento del Salterio, gli ultimi due di non assoluta autenticità) e i famosi «Titoli funebri» raccolti in seguito alla lettera che annunciava la morte di Bruno, Laporte traccia un ritratto del fondatore isolando una serie di suoi tratti caratteristici: l’amore della solitudine; l’ascolto della sapienza divina; l’amore di Dio; la vita abstracta, cioè interamente dedicata alla contemplazione; la stabilità; l’equilibrio, nel giudizio, nelle forme di vita quotidiana, nell’esercizio del ruolo di priore; l’obbedienza; la gioia («la più gran gioia che possa esistere»), e così via. E ancora quella superiore semplicità, come se per un certosino non fosse possibile altra scelta che essere, naturalmente, un certosino: «Monaco come tanti nel suo secolo, e più specialmente eremita come molti, [Bruno] non cerca affatto una forma singolare. Ma la vita monastica vissuta da lui ha ricevuto una tonalità propria dovuta alle aspirazioni della sua anima e al suo temperamento personale, e questa vita è rimasta senza dubbio, con queste sfumature, la caratteristica del suo Ordine».
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- San Bruno e il monachesimo certosino. Per Dom Jacques Dupont in vera amicitia, Rubbettino 2023.
- Maurice Laporte, L’anima di san Bruno, prefazione di T. Ceravolo, traduzione a cura dei monaci della Certosa di Farneta, Rubbettino 2024. L’opera di cui questo scritto rappresenta un estratto è Aux sources de la vie cartusienne, 8 voll., in domo Carthusiae, 1960-1971.

