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Non dimezzato, non amputato, non diminuito (Dice il monaco, CXVI)

Dice Giuseppe Dossetti, nel 1990, commentando l’ottavo gradino dell’umiltà come espresso nella Regola di san Benedetto:

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Più vado avanti negli anni e nell’esperienza, più mi sento di mettere in guardia contro questa tendenza che può esserci, e che può essere suggerita anche da zelo buono, ma non illuminato, non costruttivo. Fare di meglio e fare di più, anche se non desse luogo a nessun inconveniente esterno, è già presunzione, dice san Benedetto. Quello che invece è veramente la norma sicura, da cui non si può uscire ingannati o imbrogliati, è quello di fare tutto quello che è prescritto dalla regola comune nel modo migliore possibile, tutto, ma non di più. Farlo interamente, non dimezzato, non amputato, non diminuito, farlo cioè in pienezza, senza presumere di andare solo un pochino più in là: questo è grado di umiltà.1

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Per la verità, tutto il capitoletto, intitolato «Concorrere alla sinfonia comune, con tutta la pienezza delle proprie forze», è assai interessante. Qui più che mai occorre contestualizzare le parole che vengono pronunciate: Dossetti infatti sta parlando a una comunità femminile della Piccola Famiglia dell’Annunziata (da lui fondata), svolgendo una serie di meditazioni su alcuni capitoli della Regola benedettina. Ma come spesso accade, per lo meno a me, è facile estendere il discorso al di fuori del suo contesto, per vedere se ci può essere qualche insegnamento di carattere più generale.

In questo senso, e in questo caso, la difficoltà è palese, e tuttavia, forse, proficua. Dossetti sottolinea come la tendenza a «fare di più» rispetto alla «norma comune» possa produrre effetti squilibranti per il singolo, oltre che inconvenienti comunitari, perché si tratta in fondo di un «desiderio più o meno conscio di segnalarsi e di distinguersi, quindi con sicura perdizione». Accidenti, con sicura perdizione… Lo spingersi oltre, sempre originato da orgoglio e vanità, conduce a una solitudine pericolosa, perché ci «si trova delle volte scoperti alle spalle, come uno che avanza e la sua linea di difesa, quella comune, non avanza; e, a un certo punto, si trova con le spalle scoperte e il nemico dietro di sé, oltre che davanti a sé». Mentre «è una forza grandissima quella di fare le cose in comune, è una garanzia rispetto alla mutevolezza dei sentimenti e alla debolezza inevitabile della natura o ai momenti, che vengono a tutti, di stanchezza e sazietà».

Ecco la difficoltà che affiora nell’«esportare» questo pensiero in ambiti diversi (e lasciando da parte la storia monastica plurisecolare, punteggiata da figure che hanno sentito la necessità di «fare di più», stabilendo nuove regole e fondando nuovi Ordini): che dire se la «norma comune» è solo stanca consuetudine, «morale corrente», protocollo imposto? È sempre biasimevole il voler fare qualcosa in più? È sempre e comunque frutto di orgoglio e volontà di farsi notare? E d’altra parte, come stimare quella cieca «volontà di emergere» (senza distinzioni) che dovrebbe tutto giustificare? Da quelle «puntine oltre», come le chiama Dossetti, non possono derivare talvolta effetti positivi che ricadono su tutta la comunità? Ma d’altra parte, come negare la «forza grandissima» di un anonimo sforzo comune?

È tutto molto intricato, e non so rispondere in maniera univoca a tali domande. Che però, probabilmente, sono mal poste, poiché non si può mai generalizzare, ma si deve sempre fare riferimento alla situazione concreta, al «che cosa» e al «perché» di una comunità quale che sia.

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  1. Giuseppe Dossetti, Sulla Regola di san Benedetto. Meditazioni, Edizioni San Lorenzo 2023 (collana curata dalla Piccola Famiglia dell’Annunziata). Si tratta della trascrizione di una serie di meditazioni tenute durante il ritiro delle sorelle della Famiglia ad Ain Arik (Ramallah) dal 22 al 28 ottobre 1990.

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