La mia impressione ricorrente è che ci sia una distanza «speciale» tra l’esperienza dell’eremitismo, nella sua variante contemporanea, e le parole che vengono usate per descriverlo. Ne ho avuto conferma dalla lettura di Il silenzio e i suoi sentieri1, esempio tipico della periodica ricognizione che studiosi, giornalisti e persone interessate provano a fare del fenomeno. Il volume, che ha origine da una serie di incontri organizzati dal curatore nel 2023 per il Centro di Meditazione Cristiana di Firenze, ha il pregio di non essere «un libro sugli eremiti, bensì un libro scritto dagli eremiti» (di ispirazione cristiana cattolica), nella convinzione che per «indagare il significato della vita solitaria al giorno d’oggi» sia più utile ascoltare la testimonianza viva dei singoli individui che hanno fatto questa scelta (che hanno risposto a questo richiamo o vocazione), seguendo il racconto del loro percorso unico e irripetibile seppur nato da una sensibilità comune.
E in effetti i testi raccolti sono a loro modo «tutti diversi e tutti uguali»: Giancarlo Bruni, Servo di Maria presso l’eremo delle Stinche, in Chianti; Antonella Lumini, nella sua casa di Firenze; Andrea Pighini, frate cappuccino, e Daniela Carducci, del Cammino di Betlemme; Raffaele Busnelli, presso l’eremo della Breccia, a Gallino (LC); Mirella Muià, presso l’eremo dell’Unità a Gerace (RC): provenienze e storie diverse, esiti differenti ma simili, tonalità, sfumature, variazioni sul tema del silenzio come approdo preliminare per l’incontro con Dio. Vicende che attingono a una tradizione antica e che allo stesso tempo consuonano con una diffusa aspirazione all’allontanamento dalla «pazza folla», dal cosiddetto mondo distorto della distrazione e della frenesia. Qui il confine tra autenticità e inautenticità, tra realtà che si manifesta e desiderio che si afferma, è molto sottile, e come in altre circostanze non si può che avere fede nella (buona) fede di chi pronuncia certe parole. Ecco alcuni esempi.
«Silenzio pertanto non riducibile al tacere… ma al far tacere ogni voce che ostacoli il cammino verso la propria radice, non distratti dal passato, dal presente e dal futuro, tesi allo scopo in una taciturnità che invoca luce e attende luce» (Bruni); «Il silenzio favorisce l’ascolto: la parola divina sgorga dal silenzio. Il silenzio aiuta a conformarsi alla misura originaria, a distinguere il disordine del mondo, a vederlo, a smascherarlo, soffrirlo» (Lumini); «La fede si dà nel silenzio. Noi crediamo in un Dio che è Parola, che è risorto, ma che è silenzio. Non possiamo offrire un incontro diretto a chi ci chiede perché preghiamo Dio, dal momento che non ne sentiamo la voce. La fede si dà in questo silenzio di Dio» (Busnelli); «Non è infatti lo stare da solo in un luogo che fa l’eremita ma lo stare alla presenza del Signore nel nome di tutti coloro che non ci stanno, non sanno o non vogliono, e in loro favore» (Muià).
Il diluvio di paradossi che si incontra in queste pagine dà la misura di quella distanza cui accennavo all’inizio, paradossi e talvolta vere acrobazie verbali tra opposti che si attraggono e si respingono (solitudine e isolamento, solitudine e comunione, silenzio e mutismo, silenzio e ascolto, allontanamento e prossimità), nel tentativo di estrarre dal silenzio raggiunto parole che, paradossalmente, lo comunichino. Forse la cosa più onesta che si possa dire è che gli eremiti esistono (stanno aumentando) e che sanno quello che fanno, ma che quando sono sollecitati a raccontarsi cominciano i «problemi».
«Decisivo per ogni uomo», scrive Giancarlo Bruni, «credente o meno, nell’oggi in cui viviamo, è sapere di quale immagine di Dio sono portatori coloro che si riferiscono a un Dio, ne va di mezzo la qualità della vita e la stima di Dio stesso.» Quindi, un Dio silenzioso e imperscrutabile, e che tuttavia ci ama e soffre con noi?
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- Il silenzio e i suoi sentieri. L’esperienza dell’eremo nel nostro tempo, a cura di G. Giambalvo Dal Ben, prefazione di L. Freeman, Effatà Editrice 2024.
