«Prego, accomodaTi»

Una delle immagini più ricorrenti nel mio tentativo di comprensione di cosa significhi «essere monaci» è quella di «fare spazio», essendo uno degli obiettivi e degli esiti della scelta di vita di monaci e monache la liberazione di uno spazio interiore in cui accogliere la presenza ininterrotta di Dio e restaurare l’«intimità» con Lui. Liberazione ottenuta mediante una serie di «accorgimenti» esteriori, simboleggiati dal monastero e riassumibili nella Regola e nelle sue molteplici declinazioni, ma soprattutto grazie a una «manovra interiore» che metta da parte le vanità mondane e le realtà transitorie e ponga un limite all’ipertrofia dell’Ego. Senza dimenticare come tale limitazione consenta anche una più pulita accoglienza e un più trasparente ascolto degli altri, e non soltanto dell’Altro.

Ho incontrato più che frequentemente negli scritti monastici (dall’articolo alla Costituzione apostolica, dal IV al XXI secolo) questa idea di «fare spazio», che presuppone quindi un precedente «ingombro» (come di ripostiglio invaso da inutili cianfrusaglie); lo si potrebbe definire un leitmotiv, esemplificabile con una citazione, una per tutte, pescata volutamente a caso: «Allora, in parole povere, cosa “fa” il monaco per gli altri? Il monaco fa spazio a Dio. È dunque un individualista? No: proprio così (solo così) può fare spazio agli altri. Proprio nel vivere dell’essenziale egli trova anche la profonda comunione con i fratelli, con ogni uomo: sotto lo sguardo della Verità scopre sé stesso e ogni uomo come oggetto di uno sguardo di compassione, di una misericordia immeritata. Porre al centro Dio significa decentrare da sé e accorgersi finalmente dell’altro» (da un articolo della monaca trappista Irene Canepa). E come non ricordare anche che «il silenzio è vuoto di sé stessi per fare spazio all’accoglienza; nel rumore interiore non si può ricevere niente e nessuno. La vostra vita integralmente contemplativa richiede “tempo e capacità di fare silenzio per ascoltare” Dio e il grido dell’umanità» (Francesco, Vultum Dei quaerere, 33).

E allora, con la massima cautela, e con l’incoscienza, del dilettante, si può provare a tirare un filo con un altro concetto nel quale mi sono imbattuto più volte nelle mie limitatissime letture di mistica e di cabbalà ebraica e che trovo sommamente «pensierogeno»: quello di tzimtzum, cioè la «contrazione di Dio in sé stesso [che] ha lo scopo di liberare uno spazio mistico primordiale nel quale egli ritorna poi attraverso la creazione». È Dio per primo, con un «gesto» misteriosissimo di «autolimitazione», a «fare spazio» affinché il mondo, e tutto il resto, sia. E, come mi insegna ulteriormente l’introduzione di Daniela Leoni alla formidabile raccolta delle omelie di Kalonymus Shapira1, lo tzimtzum «non è un evento realizzatosi una volta sola all’inizio della creazione, ma rappresenta la modalità attraverso la quale Dio si rapporta ogni giorno con la realtà».

Non solo. Nella prospettiva di rabbi Shapira «ogni uomo, per entrare in comunione con Dio – o meglio, per lasciare che il Dio infinito entri in comunione con lui – deve compiere in sé stesso lo tzimtzum, imitando quella auto-limitazione del sé che ha Dio come modello esemplare». L’annullamento dell’Ego (la nullificazione dell’egocentrismo «tanto importante come strumento mistico del pensiero chassidico») è l’«abito fondamentale di cui l’uomo deve rivestirsi per poter accedere all’adesione totale del proprio essere al Creatore (devequt), nel quale solo è possibile trovare il senso della propria esistenza»2.

Ma sta parlando un chassid o, per dire, un Padre del deserto, o un certosino? Se vogliamo, poi, e senza avventurarsi in questioni che non sono all’altezza di affrontare, «fare spazio» è una manovra sempre consigliabile, no? Fare spazio nelle conversazioni, alle cose interessanti, alle confidenze, nel traffico, sull’autobus…

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  1. Kalonymus Shapira, Nuovi responsi di Torà dagli anni dell’ira, introduzione di D. Leoni, traduzione e note di L. Cattani, Giuntina 2023.
  2. Aggiunge Adin Steinsaltz: «È possibile asserire che l’egocentrismo è, di fatto, una perdita dell’anima. I nostri maestri dicono: “Chiunque abbia in sé uno spirito rozzo – disse il Santo, benedetto Egli sia – Io e lui non possiamo coabitare nel mondo”, difatti l’io di un uomo del genere riempie tutta la realtà e non vi lascia spazio nemmeno per il Santo, benedetto Egli sia, e a maggior ragione per gli altri» (L’anima, traduzione di A.L. Callow e C. Nicolini Coen, Giuntina 2018, p. 91).

2 commenti

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2 risposte a “«Prego, accomodaTi»

  1. Avatar di Guydotti Guydotti

    Leggo il suo post due giorni dopo aver assistito alla presentazione del libro di rabbi Shapira da parte dei due curatori… Che si tratti di affinità elettive?
    Quanto al “fare spazio” è anche la traduzione letterale del “chi può intendere intenda” (Mt 19,12). Per capire – gli altri, la Parola, le vicende della vita – è fondamentale “fare spazio”, così da com-prendere.
    Grazie sempre

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