Scrive fra’ Domenico Cavalca, o.p., traducendo all’inizio del Trecento il secondo libro dei Dialoghi di Gregorio Magno, cioè la «Vita di San Benedetto»:
Or essendo [Benedetto] un giorno solo venne lo tentatore. Ed una ucella picciola e nera che comunemente si chiama merla, e cominciolli a volare intorno a la faccia, ed importunamente li veniva infino al volto, e sì presso che co mano l’avarebbe potuta prendare se avesse voluto. Per la qual cosa Benedetto maravigliandosi fecesi lo segno de la croce, e la merla si partitte. E partendosi la merla sentitte Benedetto tanta e sì forte tentazione quanta mai provata n’avea. Ché una volta avea Benedetto veduta nel secolo una bella femmina, la quale lo nemico li ridusse a la memoria. E formolli in tal modo ne la imaginazione la bellezza di questa femmina, e di tanto fuoco li accese l’animo, che la fiamma dell’amore appena li capeva nel petto, e quasi poco meno, vinto di disordinato amore, deliberava di lassare l’ermo. E subitamente soccorso da grazia di Dio, tornando a sé medesmo e vergognandosi, vedendo quinde presso un grande spineto ed orticheto, spogliossi ignudo e gittossi fra quelle spine ed ortiche.
Domenico Cavalca, Il «Dialogo» di S. Gregorio, II, in Volgarizzamenti del Due e Trecento, a cura di C. Segre, UTET 1980, pp. 245-46; scrive, tra l’altro, il professor Segre: «La prima attività del Cavalca sembra essere stata quella di traduttore, con le Vite dei Santi Padri e il Dialogo (ma, secondo la Cenname, nell’ordine opposto), certo anteriori al 1333, e forse di molto; e più che di traduzioni, si deve parlare di garbati, e sostanzialmente abbastanza fedeli, rifacimenti».
Ciumbia! 🙂
Eh già. E dice che “tutto sanguinato e ferito n’escitte”, ma che aveva “ogne tentazione de carne domata”. 🙂
Well done! A estremi mali, estremi rimedi. 🙂