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Gloria o confusione

SapienzaDelCuore La sapienza del cuore1 rappresenta uno degli esempi più tipici di quei libri di «cose monastiche» che non leggo per motivi di conoscenza storica e inquadramento di un fenomeno culturale bensì per… per cosa? Come definire lo scopo di una lettura del genere senza ipocrisia né autocompiacimento? Forse la formulazione più onesta è quella di «conoscenza personale»; forse si può persino rispolverare il concetto di «edificazione». Poi, con una punta – in questo caso sì – di condiscendenza verso le mie fantasie, posso immaginare di essere seduto tra gli uditori dei sermoni di san Bernardo ed esserne chiamato direttamente in causa. Oggi.

Il volume infatti antologizza – sapientemente, è il caso di dire – alcuni mirabili sermoni dell’abate di Clairvaux sul tema della coscienza e vi unisce due testi anonimi sul medesimo argomento, sempre di ambiente cisterciense, il Tractatus de conscientia ad religiosum quemdam ordinis cisterciensis e il Tractatus de interiori domo seu de conscientia aedificanda. Ben preparati dall’introduzione di Riccardo Larini, che ricostruisce lo sviluppo del concetto di coscienza, dalle origini greche ed ebraiche a Filone alessandrino, da san Paolo a Origene e ad Agostino, fino alle sintesi cisterciense e della scuola di San Vittore, siamo pronti ad ascoltare. E «cosa ci suggeriscono allora i testi degli autori medievali sulla coscienza che abbiamo proposto in questa raccolta?» si chiede Larini, concludendo la sua introduzione. «Forse qualche spunto prezioso sono in grado di offrirlo pure a noi.» Ecco, appunto.

Ad esempio è proprio san Bernardo, campione di ascesi e di rinunce, a ricordare come Dio abbia dato all’anima una «dimora sublime»: «Parlo di questo corpo, che egli ha ideato, disposto, ornato e ordinato in tal maniera che tu puoi abitare in esso gloriosamente e con compiacimento». Nessuna condanna a priori, quindi, semmai l’invito a fare altrettanto, cioè a costruire una casa degna di accogliere a nostra volta Dio che desidera riunirsi a noi. In realtà non occorre costruirla, perché è già lì, l’anima, e in essa la coscienza, e si tratta piuttosto di pulirla, svuotarla del brutto e del superfluo, renderla accogliente. Ciò è possibile perché la coscienza è la sede dell’immagine di Dio, che è indistruttibile («La coscienza è poi eterna, non ha fine, così come non ha fine l’anima»), e a noi è data la possibilità di ricomporne la somiglianza, che invece assai facilmente possiamo dissipare. Gli strumenti che alternativamente possono dare adito allo smarrimento e alla dissipazione, o al discernimento e alla ricomposizione sono la memoria, la ragione e la volontà.

Tre facoltà che non devono separarsi, bensì cooperare: «La ragione sia quindi senza errore, per potersi ben conformare alla volontà: così la predilige, infatti, la stessa volontà. La volontà sia senza iniquità, poiché così l’approva la ragione. Altrimenti, se l’anima accusa se stessa di avere una volontà depravata, riguardo a una cosa che la ragione approva, si avrà guerra intestina e discordia pericolosa. […] Anche la memoria sia senza macchia; non rimanga in lei alcun peccato che non sia cancellato grazie alla confessione e a convenienti frutti di conversione. Altrimenti la coscienza, nella quale il peccato resta nascosto, sarà odiata dalla volontà e maledetta dalla ragione». Non è difficile vedere come anche un non credente possa addentrarsi in queste distinzioni, traendo ispirazione, se così si può dire, dal concetto dell’immagine come «nucleo di bene» che possiamo rintracciare in noi, anche ignorandone l’origine; oppure ritrovare il senso di quella «guerra intestina».

E come non riconoscere, per fare un altro esempio, l’efficacia della descrizione dei quattro generi di coscienza: buona e tranquilla, buona e turbata, cattiva e tranquilla, cattiva e turbata. La prima è quella dei santi, o comunque di chi «è dolce con tutti e non è di peso a nessuno», di chi «si serve dell’amico per la grazia, del nemico per la pazienza, di tutti per volere il bene». Una coscienza siffatta, commenta l’Anonimo, «è come un uccello raro sulla terra». La seconda è quella di coloro che «sono preda delle tribolazioni del corpo e dell’anima, ma non cedono né recedono nella tribolazione», che guardano con apprensione al futuro e ripensano – aggiunge Bernardo – «con amarezza agli anni passati». La terza è quella di chi «non teme Dio e non rispetta l’uomo», quella «di coloro che peccano sperando in bene» («è la coscienza, soprattutto, degli adolescenti», commenta Bernardo). La quarta infine è quella dei disperati (che disperano della salvezza) e di chi è tormentato dal senso di colpa: «Per esempio», dice l’Anonimo, «qualcuno desidera per il godimento l’adulterio, ma in questo è colto dall’ansia; e quest’ansia è ben più grande del godimento, a tutta vergogna e angoscia dell’uomo che vive e sa [sapit] secondo l’uomo».

Sono soltanto un paio di spunti da un libro che ne dispensa a iosa, e che offre soprattutto l’occasione di rinnovare l’attenzione su di un «luogo» in cui «accade» gran parte di ciò che ci riguarda, o che ci dovrebbe riguardare, e in cui forse è possibile anche agire, e non soltanto sentire: «La coscienza infatti è la gloria o la confusione inseparabile di ciascuno, secondo la qualità di ciò che vi è stato depositato».

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  1. La sapienza del cuore. La coscienza al cuore della vita spirituale in alcuni testi monastici del XII secolo, a cura di R. Larini, Edizioni Qiqajon-Comunità di Bose 1997.

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