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Anime semplici o che tendono a ritrovare la semplicità

CercareDioNellaSuaParola «Ogni relazione con Dio si basa su un diligente ascolto», afferma il benedettino Guy-Marie Oury (1929-2000, professo a Solesmes) nella prima pagina del suo libro sulla lectio divina1, ed è anzitutto nella Sacra Scrittura «che si può incontrare meglio Dio e ciò che egli ha detto di se stesso».

Per il monaco – il monaco di tutti i tempi, come d. Oury mostra nell’excursus storico cui dedica uno dei capitoli del libro – la lectio divina è la pratica fondamentale di accesso alla Bibbia: pratica di ascolto, durante l’ufficio; di lettura, ancora durante l’ufficio e nel tempo personale; di «meditazione incessante», che si «intromette» in tutte le sue occupazioni.

Ruminatio, masticatio, manducatio – tutti termini che si riferiscono alla pratica della lectio e che rimandano a un processo di ingestione, digestione e nutrimento: «La Lectio è dunque una refezione spirituale dell’anima nel suo cammino verso Dio». Studio e preghiera vi sono intimamente collegati, perché non è mai un’attività per così dire «oggettiva» (tutto quello che Dio ha detto «ci riguarda personalmente»), è anche uno strumento, un «luogo» di trasformazione, che per essere tale ha bisogno di essere liberato dalla pressione continua degli impegni materiali, dalle distrazioni («la distractio è la causa di tutti gli abbattimenti del monaco»), dal fiume di immagini che provengono dal mondo, dal desiderio di sapere «mille cose inutili».

La lectio si può estendere, e di fatto si è estesa, anche oltre la Bibbia, alle opere ascetiche, ai trattati sulla preghiera, alle memorie autobiografiche, ai libri di meditazione e naturalmente alle agiografie: «Si pensi al beneficio che hanno ricavato le anime semplici – e i monaci sono anime semplici o che tendono a ritrovare la semplicità», dalle raccolte di miracoli e dalle vite dei santi.

Al di là dei pochi aspetti evidenziati qui, a differenza della esaustiva trattazione di d. Oury, che esplora gli aspetti storici, pratici, dottrinali, teologici, ecc., sono molte le… lezioni della lectio che possono tornare utili per non rimanere confinati in una delle funzioni oggi consuete della lettura: informazione, studio, svago e consolazione. La continuità, anzitutto, il contenimento della distrazione, l’ascolto, l’atteggiamento discente, la meditazione e l’abitudine di porre domande – le proprie domande – al testo che si legge. Anche qui, insomma, mi pare ci sia «qualcosa» che sarebbe insensato scartare sulla base di un pregiudizio. Se la lectio nasce con la qualifica di divina, credo si possa provare a cambiare quell’aggettivo così carico di «problemi» e tentare di definire una lectio humana. Che poi, quando leggo del rapporto che monaci e monache hanno con la Bibbia, e attraverso di essa con Dio, mi viene da dire che la lectio, a occhi contemporanei, può quasi sembrare un prototipo della psicoanalisi: stesi sul lettino della Sacra Scrittura, a leggere/parlare di sé con un Analista che non si vede, parla davvero poco, ma ascolta tutto. In fondo, quando d. Oury dice che è nella Bibbia «che si può incontrare meglio Dio e ciò che egli ha detto di se stesso», aggiunge anche: «È qui che si può meglio vedere, come in uno specchio, ciò che gli uomini… sono e devono essere».

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  1. Guy-Marie Oury, Cercare Dio nella sua parola. La Lectio divina, presentazione di A.M. Cànopi, traduzione di L. Zardi, Edizioni Paoline 1987.

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