Per quanto il fascino che le Regole esercitano su di me sia essenzialmente di carattere morale o, per abbassare il tono dell’affermazione, sia legato all’aspetto che si può riassumere nella risposta al «che fare?», non mi sfugge di certo la loro preminente dimensione religiosa, e altrettanto non dovrebbe quella giuridica. Cosa significa sottomettersi a una Regola? Cosa ha comportato e comporta, da un punto di vista giuridico-istituzionale, emettere una professione religiosa, o emettere dei voti? Su questi aspetti mi ha ampiamente illuminato il volume di Andrea Boni, Regole religiose di ieri e di oggi1.
Devo ammettere che ho voluto sapere qualcosa dell’autore delle «tante faticate pagine» che ho letto, e così riporto in nota un breve sunto biografico del p. Andrea Boni, ofm2. Gli lascio la parola per una prima presentazione dell’opera, che dice già molto: «Per quanto ne sappiamo, il nostro lavoro è il primo di questo genere, e si pone come chiave di lettura della storia della vita religiosa attraverso i secoli. Si tratta di un lavoro, ovviamente, di taglio giuridico, che intende perseguire la verità giuridica dei fatti e delle cose, in contrapposizione a concezioni di altra natura, che, a nostro parere, hanno nuociuto, più di quanto abbiano cooperato, alla comprensione dell’evolversi della vita religiosa». I cinque capitoli dell’opera, resi piuttosto impegnativi, va detto, da una scrittura meticolosa e attenta a dissipare anche la minima ambiguità, affrontano in successione il fondamento evangelico delle «quattro grandi regole» (eremitica, monastica, canonicale e apostolica), la loro origine istituzionale, la loro struttura istituzionale, il loro valore strutturale e la loro posizione nell’ordinamento giuridico della Chiesa.
Non sono in grado di riassumere un testo sì denso, frutto palese dello studio di una vita, ma mi sono segnato alcuni punti che mi hanno permesso di capire meglio alcuni aspetti centrali della «faccenda» che tanto mi interessa.
- Il fondamento della vita cristiana e della vita religiosa è evangelico e non ecclesiastico.
- La vita religiosa in particolare, che risponde, successivamente al battesimo, a un’esigenza di pienezza di vita cristiana, «si qualifica come un patto di alleanza sponsale (contratto personalmente con Cristo) di conformazione di vita con la vita casta, povera e obbediente di Cristo», sulla base di Matteo 19, 21: «Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi».
- I voti emessi dal religioso sono un impegno davanti a Cristo, «non possono essere imposti coattivamente da parte di chicchessia», e rappresentano un atto di adorazione.
- Cristo non si imita, bensì «si vive», e in sostanza gli si risponde (l’iniziativa è sempre di Dio: «Il discorso vocazionale è un discorso fortemente personale: “gli altri” non ci capiscono niente»).
- «La vita religiosa non si sostituisce cronologicamente nella Chiesa alla testimonianza dei martiri, ma prorompe immediatamente dal Vangelo.»
- L’appropriazione della vita eterna è messa in relazione con l’espropriazione della vita terrena (ai beni della vita terrena non si rinuncia semplicemente, ma li si elargisce).
- Per quanto vi siano somiglianze, soprattutto nella dimensione ascetica, la vita religiosa è tutt’altra cosa rispetto ai «movimenti perfezionistici extra-cristiani»: «Si è religiosi solo per amore di Cristo!»
- La vita religiosa è stata istituita da Cristo «a livello individuale» e l’organizzazione comunitaria della vita religiosa ne è una conseguenza. «La vita religiosa è nata a livello individuale. Prima si sono avuti i religiosi e poi la loro organizzazione comunitaria.»
- «L’organizzazione comunitaria della vita religiosa è stata determinata dall’esigenza di un vicendevole aiuto tra i “religiosi” nella realizzazione del loro comune ideale di seguire Cristo» – il monastero non è un fine, è uno strumento, «la vita comunitaria non è fine a sé stessa».
- Le conseguenze morali che derivano dall’associazione comunitaria (le Regole) sono conseguenze morali di ordine associativo e rispondono a tutt’altri criteri. «Non è ammissibile che si possa peccare mortalmente trasgredendo i precetti di una regola religiosa, data da un uomo e fatta propria da un Ordine, quando questi precetti comandano cose moralmente indifferenti, che con il conseguimento della salvezza non hanno proprio niente a che fare.»
- La vita religiosa, storicamente, ha avuto queste «incarnazioni»: vergini consacrate, asceti e continenti, eremiti, monaci, canonici regolari, apostolici (apostolici, non mendicanti) e chierici regolari.
- La transizione dalla struttura decentralizzata, ogni monastero è a sé (sui iuris), a quella centralizzata, ha dato origine agli Ordini veri e propri, come entità giuridica a sé stante.
- Il «guaio», con gli Ordini, è che spesso si è scambiata la professione associativa con la professione religiosa vera e propria. Nel tempo, in relazione alla ratifica da parte della Chiesa della professione, tale professione «si è qualificata come tacita, ed espressa, semplice e solenne, temporanea e perpetua».
- …
Direi che può bastare (per me senz’altro), anche per avere un’idea del livello del discorso del p. Boni (che, con piena evidenza, ha letto tutto quanto è stato scritto sulla materia), ma non potrò mai consigliare abbastanza, per chi volesse approfondire, il suo volume, purtroppo di non facilissima reperibilità.
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- Andrea Boni, Regole religiose di ieri e di oggi, in appendice le Regole di san Benedetto e di san Francesco, Edizioni Studium 1999.
- Nato nel 1927 a Vinca di Fivizzano, un «ridente paesello montano della Lunigiana», Andrea Boni veste il saio francescano nella Provincia Ligure nell’agosto 1944, emette la professione solenne nell’ottobre 1949 e viene ordinato sacerdote nel giugno 1952. Compie i suoi studi a Roma, presso il Pontificio Ateneo Antonianum nel 1956, e già dalla dissertazione di laurea gli vengono riconosciuti: «capacità di analisi e di sintesi, peculiare attenzione all’evoluzione storico-giuridica delle questioni, aderenza alle fonti, obiettività ed equilibrio nel giudicare, rigore nell’argomentare, chiarezza». Di nuovo a Roma dal 1964 entra nel corpo docente dell’Antonianum, come professore incaricato di diritto canonico, e vi resta per oltre 35 anni come professore ordinario, poi emerito, e ricoprendo vari uffici accademici. Oltre i molti incarichi svolti nell’ambito del suo Ordine, come membro di numerose commissioni, specialmente giuridiche, e del collegio dei consultori per le controversie deferite al Ministro Generale, è stato Consultore presso la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica e presso il Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi. Ha pubblicato numerose opere giuridiche, «apportando significativi contributi specialmente in ordine alla dimensione giuridico-teologico-ecclesiale della vita consacrata a Dio, i cui importanti contenuti, spesso antesignani o addirittura “contro corrente”, oggi sono divenuti “patrimonio comune” della dottrina e, in un certo senso, anche autorevolmente avallati e corroborati dai più recenti Documenti del supremo Magistero sulla consacrazione di vita nei quali, a nostro sommesso parere, in più di un caso non solo ne è stato accolto lo spirito ma persino onorata la lettera». Rientrato infine nella sua Provincia, si ferma presso il convento della SS. Annunziata a Levanto, «dove si dedica a qualche attività di apostolato, ma soprattutto al lavoro manuale nella pineta». «Conclude il suo pellegrinaggio terreno» nel dicembre 2014 ed è sepolto nel cimitero di Vinca di Fivizzano.
