Sicuramente (Dice il monaco, CXII)

Dice Bernardo di Chiaravalle, scrivendo all’arcivescovo Enrico di Sens, intorno al 1138:

Mi stupisco che alcuni abati del nostro Ordine monacale violino con aggressiva contestazione questa regola dell’umiltà, e – ciò ch’è peggio – nutrano una superba visione delle cose pur sotto l’umile aspetto e l’umile tonsura, sì da non sopportare che i sottoposti si lascino andare a una sola paroletta riguardo ai loro ordini, mentre essi sdegnano d’obbedire ai loro vescovi. Spogliano le chiese per rendersi indipendenti; si affrancano per non obbedire. Non così s’è comportato Cristo. […] Cos’è questa temerità, o monaci? Per il fatto che siete a capo di monaci non è men vero che siete monaci voi stessi. La professione fa il monaco e solo la necessità fa il capo. Perché la necessità non pregiudichi la professione, occorre che il senso della preminenza costituisca un’aggiunta a quello della monacazione, ma non lo sostituisca. […]

Io sono sicuramente un monaco [«Certus sum enim ego monachus»], e per combinazione abate di monaci [«et monachorum qualiscumque abbas»], ma se a un dato momento mi adopero a scuotermi di dosso il giogo del mio pontefice, mi sottopongo senz’altro alla tirannide di Satana.

♦ Bernardo di Chiaravalle, Lettera XLII, 33, 35, in Lettere, Parte prima 1-210, introduzione di J. Leclercq, traduzione di E. Paratore, commento storico di F. Gastaldelli («Opere di San Bernardo», VI/1), Città Nuova 1986, pp. 239-243.

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